buio

Le dita enormi, scure, perennemente pervase di tagli nei calli. Chissà com’erano nonno le tue mani da bambino. Erano mani povere Giagina, erano mani di un pastore, erano mani di un analfabeta, erano le mani che tagliavano il pane con rispetto. Gli occhi tondi, grandi e dolci come quelli di un elefante saggio. Chissà com’erano da piccolo i tuoi occhi , nonno.
Erano occhi che hanno visto i piatti grandi in mezzo al tavolo, hanno visto le case arroccate sui monti, le pecore e le mucche sotto a scaldare la famiglia.

Giagina, sono stato un bambino che non ha mai saputo cos’era il gioco, mi alzavo col buio e col buio tornavo, io e le mie pecore e i pascoli e il bosco. Una fanciullezza di solitudine e buio. Era buio Giagina quando sono tornato una notte e mi sono buttato sul letto, ho fatto compagnia alla mamma e lei già non c’era più. Era buio Giagina quando sono partito per Firenze, salutando i fratelli che forse non avrei mai più rivisto. Sparsi nel mondo a servire gli altri, sparsi nel mondo a perdersi di vista, a cavarsela da soli.
Fratelli nemmeno di cuore.
Erano altri e nessun’altro i miei fratelli, la mia famiglia. Il lavoro Giagina, quello duro, quello che si impara anche sui libri, libri pieni di parole sconosciute. C’è fatica Giagina a farsi da se, a mettere numeri e formule e precisione nella testa di chi ha sempre munto pecore e vagato nel buio fischiando al fuoco. Ma tu nonno ce l’hai fatta, perché sei il mio nonno, perché mi hai donato quella caparbietà silenziosa, quella umiltà di chi sa di non sapere, ma non si arrende perché c’è sempre da imparare dicevi nonno, vero?

Si Giagina, io ho imparato, da solo, e com’erano belli i pezzi e com’erano lucidi quando uscivano da sotto la mia pulitrice, com’era perfetta la mia cromatura, erano la luce che non avevo mai avuto. E li avevo fatti io. Io, Gino , quello venuto di fuori , quello che la vera famiglia l’ha trovata nel quartiere dov’era lei, la Pirina. Era bella Giagina, la Parigi, aveva occhi vivaci e luminosi. Anche lei era la luce dopo il buio Giagina e per lei non mi è importato cedere il mio nome ed essere assimilato al suo. In fondo qual’era la mia famiglia? Dov’era? Con chi era? Era con lei che era solida, era viva. Ed era anche lei senza nessuno, madre di tanti fratelli.
Guarda la nonna, Giagina, guarda come ha combattuto sempre, guarda come ride.
Chissà se l’ho mai resa felice, chissà se dopo la guerra, le malattie, le disgrazie, le bastava il mare d’estate, il ristorante di domenica, la montagna di luglio. Chissà se le è bastato il mio amore o se quel vaffanculo con cui ci ha salutato per sempre era solo il suo carattere o la sua infelicità.
Chissà nonno, chissà se basta mai l’amore, chissà perché scrivere di te mi fa essere fiera di esserti nipote, tu che mi hai insegnato a fissare l’amo, tu che mi hai regalato la prima bici, tu che consideravi ricchezza un fagottino di prosciutto dolce, tu che non hai mai punito nessuno col digiuno, perchè sapevi cos’era la fame e quanto sia ingiusta, tu che hai scacciato il buio per tutta la vita, dove sei quando adesso ho buio dentro. Si trova la luce nonno? Si trova , un giorno, la luce, nonno? Si trova?

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